Il seicento vide sorgere a Napoli numerosi monasteri “riformati” che nacquero in linea con un bisogno di austerità e consolidamento di un’identità religiosa, che dall’interno stesso della vita religiosa, nell’esigenza di preghiera e contemplazione, doveva trovare la propria forza di aggregazione. Ai monasteri si affiancarono altri istituti che risposero alle gravi situazioni di disagio sociale presenti a Napoli. Conservatori, ritiri, educandati, ospizi, ospedali costituirono una pluralità di iniziative tese ad arginare le condizioni di una povertà dilagante, soprattutto in seguito alla crisi economica e politica che colpì la città. All’instabilità dei governi vicereali, infatti, si aggiunsero l’eruzione del Vesuvio nel 1631, la rivolta popolare capeggiata da Masaniello nel 1647 e la peste nel 1656. Gli istituti di carità accoglievano orfane, malate, prostitute, donne ai margini da proteggere e recuperare alla società, ma anche figlie da educare, appartenenti a corporazioni di arti e mestieri, oppure ragazze del ceto medio che, pur volendo, non potevano essere accolte nei monasteri a causa della dote inadeguata. Questi istituti di assistenza svolgevano una molteplicità di funzioni. Cercavano di arginare il fenomeno della mendicità andando incontro ad orfane, a vedove, oppure a ragazze provenienti da famiglie povere e decadute, o a donne in disaccordo con i congiunti che non avevano il sostegno della famiglia. Essi avevano anche la finalità di raccogliere le vagabonde per poter controllare la mobilità femminile. Anche i Conservatori erano destinati a proteggere le ragazze in pericolo, normalmente le figlie di prostitute o di malfattrici. Alcuni ritiri erano rivolti a donne della nobiltà decaduta che per mancanza di dote non potevano né sposarsi né prendere i voti poiché anche nei conventi si era ammessi soltanto con un lascito. A questa esigenza risposero molte famiglie aristocratiche della città e i ritiri diedero asilo a queste sventurate nelle loro dimore. L’esigenza che esprimono queste opere di carità è certamente quella di un controllo sulla città per contrastare disordini, piaghe sociali e malattie. Non va trascurato, tuttavia, il ruolo assistenziale che queste strutture svolgono in senso più ampio: dal sostentamento, l’educazione attraverso l’insegnamento delle cosiddette arti donnesche (cucito, ricamo), al recupero delle donne attraverso un’opera capillare di rieducazione e formazione.