I suoi abiti incredibili sono architetture in seta che hanno fatto sognare le donne di ieri e di oggi. Da Gloria Swanson a Rita Levi Montalcini, passando per principesse e signore del jet set, sono in tante ad aver scelto il suo stile inconfondibile. Celebrato anche nei musei
“Non sono uno spacco o una scollatura a rendere sexy una donna. La seduzione parte tutta dalla testa, non c’entra niente con i vestiti”. A parlare così è Roberto Capucci, il grande couturier romano che il 2 dicembre festeggia il suo 90° compleanno. Famoso per le sue soffici sculture di seta, Capucci appartiene alla categoria artistica dei grandi sarti architetti di cui, insieme a Charles James e a Cristobal Balenciaga, può essere considerato Maestro. La sua ultima avventura? Le creature di Prometeo, concerto-balletto diretto da Daniele Cipriani con le musiche di Beethoven presentato la scorsa estate al Festival dei Due Mondi di Spoleto per cui ha disegnato onirici costumi.
Nel corso di una brillante carriera durata 70 anni, Capucci ha sempre seguito il suo istinto, si è concesso il lusso di rimanere fuori dal coro, senza mai aver paura di andare controcorrente e ha creato abiti per alcune tra le donne più belle del mondo, da Gloria Swanson a Marilyn Monroe, fino a Esther Williams. Per la nuotatrice protagonista di Bellezze al bagno, realizzò nel 1957 una delle sue creazioni più famose: l’abito Nove gonne. Questo vestito, nato dall’osservazione dei cerchi prodotti da un sasso lanciato in acqua, è presto diventato così famoso da venire scelto per una pubblicità della Cadillac e da essere immortalato in un fumetto del The Dallas Morning News. Pur avendo vestito una quantità di donne, la musa di Capucci è rimasta sempre Silvana Mangano. La conobbe nel 1968 quando le realizzò gli abiti per Teorema di Pasolini. “Poterla vestire è stato un sogno. Quando indossava le mie creazioni, anche le più importanti, riusciva a essere così spontanea che sembrava portasse un paio di jeans. Aveva il dono straordinario di rendere sublime tutto ciò che aveva addosso” racconta.

Tra le clienti di Capucci, definite “le capuccine”, figurano anche molte principesse romane e un premio Nobel come Rita Levi Montalcini, tutte “donne meravigliose, di grinta e carattere, donne che non amano andare sui rotocalchi e che, come ogni donna forte, non seguono la moda. Trovano l’abito o il colore che sta loro bene e hanno il coraggio di non cambiare più”.
Tra di loro la prima è stata Maria Foschini, una anziana giornalista che quando era ancora ragazzino, lo incoraggiò a buttarsi in questo mestiere a dispetto di una famiglia che lo avrebbe voluto medico o avvocato. Fu lei nel 1950 a convincerlo a scrivere a Giovanni Battista Giorgini, brillante organizzatore delle prime sfilate collettive di moda italiana. Non importa che poi per la sua giovane età (aveva appena vent’anni) non venisse ammesso.
“Giorgini colpito dal mio talento, mi chiese di vestire sua moglie e le sue figlie. Giornalisti e compratori rimasero incantati dalle loro mise. Così questa ‘non-partecipazione’ si trasformò in un trionfo facendomi raggiungere in un lampo la notorietà internazionale”. Da allora le sue architetture di seta, fatte di sovrapposizioni policrome, di petali, di ventagli, di trionfi barocchi, sono passate da un successo all’altro e, oltre a essere esposte nel 1995 alla Biennale di Venezia, sono state protagoniste di mostre personali in alcuni dei musei più importanti del mondo, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna al Philadelphia Museum of Art. Così, soffici e altere, le creazioni di Capucci sembrano vivere di vita propria, distanti mille miglia dall’ossessione del corpo. “Ho tentato” ricorda infatti il Maestro “di dare al vestito una sua indipendenza rispetto al corpo. Il che non significa andare contro il corpo. Significa non limitare la femminilità alla forma del corpo. Perché per me vestire è un rito, una magia”.